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L’orgoglio di essere emiliani

da | Dic 23, 2015 | Editoriale | 0 commenti

di Andrea Lodi *

Premessa

C’era una volta il modello economico emiliano-romagnolo. Se ne parlava, se ne scriveva come un modello unico, fatto di tante piccole e medie imprese altamente performanti, protagoniste di uno sviluppo socio-economico di cui la politica se ne faceva vanto, e cercava di imitarne regole, comportamenti ed obiettivi. Anzi, la politica si riteneva fautrice di questo modello.

Da ogni parte del mondo, governanti, economisti ed imprenditori varcavano i nostri confini per carpirne i segreti, per comprendere i motivi di tale successo. Anche Bill Clinton, 42° Presidente degli Stati Uniti d’America, in una breve pausa dagli impegni con la famosa stagista che ne ha decretato la fine politica, venne qui, a curiosare.

In quei tempi, ahimè, un politico, un satrapo vanitoso ed ignorante, cominciò a definire il nostro modello economico, un modello perdente, anacronistico, che non aveva futuro, che doveva lasciare spazio alle grandi imprese.

Si trattò ovviamente del solito, inutile, devastante tentativo pre-elettorale per dare voce e spazio ad interessi di singoli individui. Insomma, quel modello, per la politica imperante in quegli anni, non era più così interessante, non era più cosi performante.

Gli anni della crisi

E’ cosi che iniziano le crisi. Ed è proprio negli ultimi dieci anni che è iniziato il lento declino di un modello socio-economico esemplare. Forse la giusta coniugazione, il giusto equilibrio tra socialismo e capitalismo. Purtroppo quest’ultimo ha preso il sopravvento. Ma nel modo peggiore. Dando spazio all’incompetenza, alla mediocrità.

La crisi c’è e continua il suo effetto negativo sull’economia, e soprattutto sulla società. Ma il modello socio-economico di cui andavamo fieri, esiste ancora. C’è, ce ne siamo soltanto dimenticati. Volendo lasciare per un attimo da parte le tristi vicende che stanno interessando la finanza italiana – vicenda anch’essa attraversata da ladrocini, stupidità, incompetenza e tanti altri aggettivi ingiuriosi che ci possono venire in mente – è opportuno riconoscere che l’Emilia Romagna, con poco più del 7% del PIL nazionale, e che nel 2015 si stima stia crescendo dell’1,2%, rappresenta uno dei macro-distretti industriali più importanti d’Europa.

Innovazione e sviluppo

Nonostante i segni di una recessione durissima, in Emilia Romagna si fa molta innovazione e si crea sviluppo.

Per riprendere le parole di Paolo Bricco, giornalista de Il Sole 24 Ore, “questo tessuto imprenditoriale – con il suo mix di meccanica strumentale e automotive, agroalimentare e wellness, packaging e farmaceutica, moda e logistica – racchiude il passato, sintetizza il presente e lascia intuire il futuro del capitalismo produttivo italiano.”

C’è chi dice che la ripresa nazionale dovrà partire dall’Emilia Romagna. Una grande responsabilità. Chissà se i nostri imprenditori sapranno farsene carico. D’altronde i numeri ci sono.

L’Emilia Romagna ha delineato negli anni un profilo competitivo fatto di ricerca, innovazione, formazione e visione del futuro. E’ la forza del Made in Italy, fortemente riconosciuta e premiata a livello internazionale. Che non riguarda solo i nostri prodotti, ma l’ “emilianità”, caratterizzata da un mix di tradizione e modernità, provincialismo e globalizzazione, conservatorismo e innovazione. Negli ultimi due anni l’export della regione è cresciuto con una media del 4,3% all’anno, ed ha interessato i distretti industriali che seguono l’asse della Via Emilia. Secondo Fondazione Edison l’automotive di Maranello e gli apparecchi medicali di Mirandola sono cresciuti rispettivamente del 19,6% e del 9,7%, le macchine utensili di Rimini del 9,1%, le piastrelle di Sassuolo e di Reggio Emilia hanno messo a segno nel 2014 rispettivamente un incremento dell’export del 7,5% e dell’8,2%, mentre il caseario di Parma è cresciuto del 6,2%. Infine, le pompe di Modena e Reggio Emilia e le macchine per imballaggio di Bologna sono cresciute rispettivamente del 5,5% del 5,1%. Risultati che non delineano una situazione di crisi, anzi.

Immagine

Nel mosaico complesso ed equilibrato di piccole e di medie imprese e di aziende a controllo italiano e a controllo straniero – continua Paolo Bricco, giornalista de Il Sole 24 Ore – uno degli elementi che contribuisce ad una fisiologia particolarmente stabile del sistema emiliano-romagnolo è costituito appunto dal canone del Quarto Capitalismo (piccole e soprattutto medie imprese internazionalizzate organizzate in distretti industriali settoriali)”.

Resilienza e dinamismo

Secondo l’Ufficio Studi di Mediobanca e l’Ufficio Studi di Intesa Sanpaolo, le medie imprese internazionalizzate, hanno dimostrato di essere capaci di affrontare situazioni di difficoltà (resilienza) con dinamismo. I numeri sono particolarmente confortanti. In nove anni, con in mezzo il mondo che è cambiato, le imprese emiliano-romagnole hanno avuto performance da fare invidia:

  • il fatturato netto complessivo è aumentato del 32%
  • il MOL (Margine operativo Lordo) si è assestato attorno al 7,9%
  • il Capitale Netto è aumentato del 53%
  • il Risultato Netto d’esercizio è aumentato del 20% circa
  • il ROI (Return on Investment) oscilla tra il 7,8% e l’8,9%
  • il ROE (Return on Equity) oscilla tra il 4,8% ed il 6,1%
  • il tasso di crescita cumulato di investimenti in R&S è pari al 21% (sette volte la media italiana)

Numeri di assoluto rispetto, in un contesto Paese, che sembra faccia di tutto per contrastare lo sviluppo delle nostre imprese.

* Andrea Lodi, vive a San Prospero (MO), è aziendalista, specializzato in Pianificazione Strategica. Giornalista economico, da gennaio 2009 cura “Economix“, la rubrica economica di PiacenzaSera.it; da settembre 2014 collabora con SulPanaro.net.

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