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Vincenzo Sciangula, uomo in cerca della sua giustizia a Finale Emilia, ora rischia di rimanere per strada

da | Lug 25, 2019 | In Primo Piano, Finale Emilia | 0 commenti

FINALE EMILIA –  I capelli bianchi e le rughe in più non scalfiscono la nitidezza dei suoi occhi azzurri che da anni chiedono giustizia, la sua giustizia. Lui è Vincenzo Sciangula, disabile siciliano trapiantato a Finale Emilia che ormai da tempo incrociamo in tutte le occasioni ufficiali della cittadina della Bassa.
Lo abbiamo visto prendere la parola nelle manifestazioni di protesta, che sia un Consiglio comunale o una inaugurazione, lui è lì, anche senza dire nulla. Fa testimonianza di sé.
E’ un uomo che chiede giustizia, Vincenzo, e oggi che ha 60 anni la stanchezza sembra prevalere. Ha amici, però, che combattono per lui, e proprio uno di questi amici, Mauro Ferraresi, ci racconta la sua storia.
Anche perché, annuncio dopo annuncio, si fa sempre più vicino il momento in cui tutti i Map dovranno essere liberati, anche i prefabbricati ad uso agricolo come quello in cui vive Sciangula adesso, a ridosso del campo sportivo di Casoni di Sotto. Si parla di agosto.

Sciangula arrivò nella Bassa dalla Sicilia un paio di decenni fa per lavorare come muratore. Ha lavorato tra San Prospero e Finale Emilia, dove venne a vivere dopo una lite con uno dei suoi datori di lavoro dell’epoca, il Comune di San Prospero. Racconta Ferraresi che quando ci fu il terremoto la casa di via Selvabella in cui Sciangula era in comodato gratuito grazie a un amico, subì danni diretti e indotti, rendendo non più possibile vivere lì, come rilevabile da Scheda AeDES e da successiva Ordinanza sindacale di Sgombero.
Come a migliaia di cittadini della Bassa che si trovarono nelle stesse condizioni, anche a Sciangula arrivò dunque il Cas, contributo di autonoma sistemazione, un aiuto pubblico mensile che serviva per pagare una sistemazione alternativa. Ma dopo pochi mesi, a ottobre, gli venne sospeso e, più tardi, revocato, con richiesta di restituzione del percepito.

Perché gli venne tolto il Cas? Perché la casa di via Selvabella in cui viveva Sciangula, con la compagna e il figlio, prima del terremoto risultava già inagibile. Questa la motivazione ufficiale. Spiega Ferraresi : “A guardare bene, però, al di là di un verbale redatto dai Vigili del Fuoco qualche anno prima, nel 2002, in cui si invitava il Comune ad un sopralluogo poiché, dopo un incendio avvenuto alla canna fumaria, una parte dello stabile – e solo una parte, quella relativa alla proiezione verticale sotto una trentina di mq di tetto danneggiato dal fuoco – risultava inagibile; al di là del Comune che relazionò quanto già dedotto dai Vigili del Fuoco a livello strutturale, aggiungendo alcune problematiche igienico-sanitarie; al di là della conseguente dichiarazione di inagibilità/inabitabilità rilasciata dall’Ufficio Tecnico, mai nessuno, e parliamo di ben tre legislature, ritenne necessario far seguire una dovuta Ordinanza sindacale di Sgombero, accettando così, tacitamente, la presenza della famiglia nell’abitazione con tanto di certificazione di residenza”.

Niente casa, dicevamo. Ma senza casa e senza aiuto pubblico almeno una casa popolare venne data alla famiglia? No, mai il Comune assegnò alla coppia una casa popolare dove sistemarsi, richiesta più volte tra il 2004 e il 2010, cosa che all’epoca portò Sciangula a una plateale protesta in Comune.

Comunque, osserva Ferraresi, a suo parere il Cas era legittimo, visto che le normative relative non accennano mai esplicitamente alla decadenza del Cas in caso di inagibilità pregressa, come, invece, ben dettagliato sulla normativa riguardante i Contributi per la ricostruzione di fabbricati. E in ogni caso – aggiunge – il Cas è un contributo che va alla persona, non alla casa, non serve per ricostruire, ma per aiutare il singolo. Raffinatezza giuridica che non ha però finora trovato accoglienza.

Quel maggio 2012 con ancora negli occhi il terrore delle scosse, l’aiuto pubblico fu importantissimo per sistemarsi. Una volta revocato, i tre si ritrovarono di nuovo per strada e senza soldi. Difficile risollevarsi dalla situazione, anche perché i lavori che riusciva a svolgere soprattutto la compagna erano saltuari. Lui è stato un muratore fino al 2010, fino a quando un brutto incidente sul lavoro non gli ridimensionò le capacità professionali. Non abbastanza da avere, però, un risarcimento dall’Inail, e nemmeno per avere un assegno di invalidità dall’Inps, che gli contesta peraltro una serie di contributi non pagati.

La situazione è complicata, e Sciangula prova a chiedere una casa popolare al Comune di Finale Emilia. Niente da fare, non ha abbastanza punteggio. “Ma analoga richiesta fatta al Comune di San Felice – aggiunge Ferraresi – ha portato ad avere molti più punti. Perché questa differenza? Credo, non si possa sdoganare come differenza fisiologica tra i vari comuni, visto che ammontava a 15 punti. Semplicemente, San Felice riconosceva certe precarietà che il Comune di Finale negava”.

Niente casa, niente alloggio popolare, solo la permanenza nella roulotte fornita fin dall’inizio dalla Caritas, ma senza soldi. La Giunta Ferioli pensa quello che forse va interpretato come una sorta di “compromesso”: richiede alla Regione un modulo abitativo. La Regione invia un modulo cosiddetto rurale, PMRR, l’unico tipo accettato dal Comune di Finale che, invece, aveva rinunciato fin da subito ai moduli abitativi normali, PMAR. Peccato che Sciangula non abbia al suo attivo nemmeno un’ora svolta come agricoltore.

Ci si mette un po’ ad installare il modulo a Casoni di Sotto e a renderlo abitabile con la luce elettrica, cosa che avviene solo a fine 2013, e c’è un aspetto che lascia perplessi: è stato sistemato proprio ai bordi del campo da calcio privo di recinzione, praticamente dietro una porta priva di rete.

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Sono passati sei anni da allora, e tante pallonate sulla parete del modulo. Ora, ad agosto quel modulo va sgomberato. Ma a Sciangula non viene offerta una alternativa perché, ufficialmente, a quel modulo non aveva diritto non essendo un agricoltore.
Già, osserva Ferraresi: “Il paradosso più grave sta nel fatto che hanno sospeso, poi revocato, l’altrettanto ritenuto “illegittimo” Cas, sostituendolo appunto con l’ancor più “illegittimo” modulo rurale. E per giustificare l’assegnazione di quest’ultimo, si sono parati in tutta fretta dietro “l’atto umanitario”. Non sarebbe stato più credibile e meno macchinoso evocare tale “umanità”, permettendogli di continuare a percepire il Cas? Anche perché, valutato in circa 8000 euro quanto spettante col Cas, nel caso fosse proseguito (non oltre il Luglio 2013, secondo normativa), si può ben immaginare quanto più sarà venuto a costare in quasi sei anni il suddetto modulo”.

Insomma, il caso Sciangula si trascina da anni senza una vera soluzione. Gli enti pubblici, tra Comune e Struttura commissariale per la ricostruzione, hanno un atteggiamento ambivalente. Non viene emessa una Ordinanza di Sgombero quando c’è l’incendio nel 2002, ma poi nel 2012 si dice che la casa è inagibile ante sisma. Prima si assegna il Cas, poi lo si revoca. Dopo di che viene illecitamente assegnato il modulo rurale, e ora lo si toglie, senza lasciar spazio ad alcuna alternativa. Non si fornisce una casa popolare, ma qualche aiutino sì: aiuti finanziari per pagare alcune bollette, occhiali, o i corsi del figlio, un migliaio di euro spalmato su periodi piuttosto lunghi, e comunque sempre gestiti dai Sevizi sociali, mai da lui stesso.

Insomma, Sciangula va aiutato o no? E c’è un dato che fa rabbia. Di Sciangula a Finale Emilia si parla male. “Si può diffamare quale approfittatore  – si chiede Ferraresi – chi in due anni ha ricevuto aiuti per 1400 euro di spese varie, come risulta da un protocollo dell’Ente? Pare che da anni nessuno lo abbia capito. Neppure è valso l’intervento dell’On. Vittorio Ferraresi durante un’intervista in loco a fine 2013”.

Sciangula, intanto, da molto tempo chiede giustizia. Chiede un tetto stabile sulla testa, un aiuto economico che gli permetta di integrare il magro reddito che oggi solo la sua compagna riesce a portare a casa, vuole vivere con la sua famiglia.
Già, perché per la mamma e il bambino un appartamento è stato trovato, solo che Sciangula non può metterci piede. Eventualmente, col consenso/richiesta della compagna potrebbe frequentarlo in veste di ospite, dietro versamento, però, di 50 euro al mese ad Acer. Una cosa assurda, secondo lui. E surreale, se si pensa che nella civile Emilia queste situazioni non dovrebbero esistere.
Ricordando anche che sette anni fa volarono promesse impegnative tra le macerie della ricostruzione: “Nessuno rimarrà indietro“. Sciangula, invece, indietro ci è rimasto. E nessuno si preoccupa per lui.

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